Dall’immunità alla comunità. Piccoli spunti di futuro per le Arti Marziali (e non solo).

In questi giorni in cui gran parte di Europa torna a sperimentare condizioni di confinamento e di incertezza, mi sono tornate alla mente due letture che, nei prossimi mesi di attività forzatamente ridotta, consiglio vivamente di fare.

Roberto Repole, ne “Il dono”, offre delle riflessioni sulla natura e sulle implicazioni del donare e del ricevere. Il dono è segno e facilitatore di una relazione, di un legame. E, per questa ragione, è un qualcosa di ambivalente, qualcosa da trattare con estrema cura. Ci sono doni che consolidano legami, altri che li rompono. Doni che creano gioia, altri che creano divisione.

Questa ambivalenza risiede anche nella radice delle parole che indicano il dono. L’inglese gift, il “regalo” appunto, ha la stessa grafia e pronuncia del tedesco Gift, che significa “veleno”. Esattamente come dalla radice “dono” deriva anche la parola “dose”…

Il “munus”, per gli antichi latini, è dono ma anche onere, vincolo. Peso da portare per effetto di un dovere e di un rapporto.

Il filosofo Roberto Esposito, in “Communitas. Origine e destino della comunità” riprende alcuni spunti di Thomas Hobbes e conclude la sua spietata analisi della società “se la relazione tra gli uomini è distruttiva, l’unica via di uscita è la distruzione della relazione stessa”.

Niente più della pandemia ci permette di vedere che, come individui, abbiamo costruito una società in cui il mantenere l’altro a “distanza di sicurezza” è qualcosa di molto più veloce e molto meno impegnativo di vedere, nell’altro, un altro me stesso. Una persona con cui coltivare rapporti, legami. Un dono che porta con sé il rischio che possa anche “non piacere”.

Tirare su muri e alimentare divisioni è qualcosa di molto più antico e duraturo del “distanziamento sociale” a cui le norme di contrasto al Covid-19 obbligano intere nazioni.

Siamo piuttosto inclini a evitare la reciprocità, a proteggerci dal rischio di esporci alla relazione che “l’altro” comunque ci prospetta. In altri termini, siamo propensi a renderci “im-muni”.

E, a ben vedere, non è un gran risultato. Da un lato della bilancia, la presunta sicurezza; dall’altro l’isolamento. Questa parola, “immunità”, che forse in senso medico auspicheremmo per la società, così da poter riprendere le attività ordinarie cui eravamo abituati, in fondo non rappresenta solo la “liberazione dal peso” (in-munus) di un pericolo ma determina l’insostenibilità e l’incapacità di offrire e ricevere un dono. Di creare legami. Immuni magari, ma non munifici.

In questa prospettiva diventa anche difficile, se non impossibile, creare una “co-munità”. Un insieme di persone capaci di portare il peso delle proprie responsabilità perché capaci di offrire il dono della propria reciprocità.

Sono e siamo fermamente convinti che quanto sta avvenendo abbia una portata rivoluzionaria superiore a tanti tentativi ideologici di riformare la società avvenuti nel passato.

Il nostro piccolo grande mondo delle Arti Marziali non ha alcuna possibilità di sopravvivere a questa pandemia se non ha il coraggio di passare dall’im-munità alla co-munità.

Non sopravvivrà economicamente, perché è sempre più evidente che, salvo rari casi, il mercato del lavoro va nella direzione di una sostenibilità economica basata sulla contemporaneità di più attività o sulla condivisione. (Nulla di nuovo: basta andare con la memoria alla civiltà contadina per vedere come si possa campare a condizione di dare la medesima attenzione all’orto come alle galline, alla famiglia come ai vicini…)

Non sopravvivrà tecnicamente, perché lo sport andrà avanti promosso da chi avrà il potere economico di garantire strutture e adempimenti normativi e i margini di libertà del singolo tecnico saranno sempre minori. In altri termini: si promuove ciò che “vende”, il resto, come è moda definire ultimamente, non è “indispensabile” e destinato all’oblio.

Non sopravvivrà  come spirito, perché tutto quanto nasce dalla relazione, ancorché conflittuale, non può vivere nella solitudine.

Siamo invece convinti che il nostro piccolo grande mondo delle Arti Marziali non solo può sopravvivere ma può anche prosperare se, la “palestra” avrà il coraggio di diventare “Dojo” per poi diventare letteralmente “comunità”. Da luogo di allenamento a luogo di gratuità e fratellanza, passando attraverso al luogo in cui viene indicata e condivisa una via.

Nella gratuità e nella fratellanza le questioni economiche si affrontano e si superano nell’ottica di costruire insieme le condizioni di dignitosa sussistenza di tutti e di tutte le iniziative, fornendo la base per quel po’ di autonomia che permette di offrire il dono delle proprie competenze a chi le vorrà cogliere, mantenendo così vivo il fuoco del tramandare un messaggio che attraversa i tempi e gli spazi e si propaga nonostante i nostri limiti.

Saranno comunità forse materialmente più povere, con inizialmente minori risorse per organizzare eventi, partecipare a stage… Ma non per questo comunità chiuse, anzi già allenate a entrare in relazione tra loro grazie alle tecnologie digitali. Abituate ad una formazione on-line che potrà diventare il portale di una crescita molto più ampia di quanto non si potesse pensare prima. E pronte a dare il valore a quanto si potrà organizzare e fare.

Quindi: questo è il momento propizio per comprendere quale sia il “munus”, il dono di cui siamo portatori e di che doni possiamo aver bisogno. Per costruire una comunità e non una semplice, fredda, immunità.

Disclaimer: Foto di cottonbro da Pexels

 

 

 

 

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